Antonia Pozzi – Parole (Parte 1)

Antonia Pozzi – Parole

Se le mie parole potessero
essere offerte a qualcuno
questa pagina
porterebbe il tuo nome.

* * *

Tramonto corrucciato

Il sole
chino sul grembo della montagna
con tensione
grifagna
sembrava un occhio stupefatto d’arancione
cigliato
di raggi a lame vivide
sotto un sopracciglio corrucciato
di nubi livide.

 

Antonia Pozzi
Milano, 14 aprile 1929

 

* * *

Offerta a una tomba

Dall’alto mi hai mostrato,
un po’ fuori della frana ruinosa di case,
un additare nero di cipressi
saettati attraverso l’azzurro
a custodire
i marmi bianchi del cimitero.
Ho pensato ad una tomba
che non ho mai veduta
e mi è sembrato
di deporvi in quell’istante,
con trepido cuore a fior di mani,
un vivo fascio
di garofani rossi.

 

Antonia Pozzi
17 aprile 1929

* * *

Un’altra sosta

Appoggiarmi la testa sulla spalla:
ch’io ti accarezzi con un gesto lento,
come se la mia mano accompagnasse
un lunga, invisibile gugliata.
Non sul tuo capo: su ogni fronte
che dolga di tormento e di stanchezza
scendono queste mie carezze cieche,
come foglie ingiallite d’autunno
in una pozza che riflette il cielo.

 

Antonia Pozzi
Milano, 23 aprile 1929

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Amore di lontananza

Ricordo che, quand’ero nella casa
della mia mamma, in mezzo alla pianura,
avevo una finestra che guardava
sui prati; in fondo, l’argine boscoso
nascondeva il Ticino e, ancor più in fondo,
c’era una striscia scura di colline.

Io allora non avevo visto il mare
che una sol volta, me ne conservavo
un’aspra nostalgia da innamorata.
Verso sera fissavo l’orizzonte;
socchiudevo un po’ gli occhi; accarezzavo
i contorni e i colori tra le ciglia:
e la striscia dei colli si spianava,
tremula, azzurra: a me pareva il mare
e mi piaceva più del mare vero.

 

Antonia Pozzi
Milano, 24 aprile 1929

* * *

Distacco

Tu, partita.
Senza desiderare la parola
che avevo in cuore e che non seppi dire.
Nel vano della porta, il nostro bacio
(lieve, ché ti eri appena incipriata)
quasi spaccato in due da un gran barbaglio
di luce, che veniva dalle scale.
Io rimasta
lungamente al mio tavolo, dinnanzi
a un vecchio ritrattino della mamma,
specchiando fissamente dentro il vetro
i miei occhi febbrili, inarditi.

Antonia Pozzi
Milano, 9 maggio 1929

* * *

Sventatezza

Ricordo un pomeriggio di settembre,
sul Montello. Io, ancora una bambina,
col trecciolino smilzo ed un prurito
di pazze corse su per le ginocchia.
Mio padre, rannicchiato dentro un andito
scavato in un rialzo del terreno,
mi additava attraverso una fessura
il Piave e le colline; mi parlava
della guerra, di sé, dei suoi soldati.
Nell’ombra, l’erba gelida e affilata
mi sfiorava i polpacci: sotto terra,
le radici succhiavan forse ancora
qualche goccia di sangue. Ma io ardevo
dal desiderio di scattare fuori,
nell’invadente sole, per raccogliere
un pugnetto di more da una siepe.

Antonia Pozzi
Milano, 22 maggio 1929

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Ritorni

Stamattina, in campagna, sono entrata,
dopo tutto l’inverno, nel mio studio.
C’era un odore quasi soffocante:
odori di muri vecchi; mi ha investito
come le melodie che ci resuscitano
in cuore i più nostalgici ricordi.
Sai: su quel divanetto ho tanto pianto
quando ho saputo che tu non tornavi.
Ed oggi, sulla porta, mi ha avvinghiato
la mia anima di allora; ho riassistito
in un istante a tutto il mio passato.
Mi sembrava di essere affacciata
a una terrazza stretta e di guardare,
sotto di me, un brulichio infinito,
affogato nel vuoto e nell’azzurro.
Una lieve vertigine mi ha colto
e sono uscita: fuori, sotto il portico,
c’era una rondine, che s’è spaventata
ed ha squittito tanto acutamente
che ne ho avuto uno stupido sobbalzo.

Antonia Pozzi
Milano, 26 maggio 1929

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Odore di fieno

Chissà da dove esala
quest’odore di fieno:
ha la pesantezza d’un’ala
che giunga da troppo lontano.
Si affloscia, si lascia piombare
su me, come abbandono insano,
come l’alito di una creatura
che non sappia più continuare.
Tutte le lagrime di questo ignoto interrotto cammino
tremolano nella mia anima impura,
come il tintinnio roco di quel grillo, in giardino,
che rode la solitudine oscura.

Antonia Pozzi
Milano, 1 giugno 1929

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Giacere

Ora l’annientamento blando
di nuotare riversa,
col sole in viso
– il cervello penetrato di rosso
traverso le palpebre chiuse -.
Stasera, sopra il letto, nella stessa postura,
il candore trasognato
di bere,
con le pupille larghe,
l’anima bianca della notte.

Antonia Pozzi
Santa Margherita, 19 giugno 1929

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Innocenza

Sotto tanto sole
nella barca ristretta
il brivido
di sentire contro le mie ginocchia
la nudità pura d’un fanciullo
e l’ebbro strazio di covare nel sangue
quello ch’egli non sa.

Antonia Pozzi
Santa Margherita, 28 giugno 1929

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Pace

Ascolta:
come sono vicine le campane!
Vedi: i pioppi, nel viale, si protendono
per abbracciarne il suono. Ogni rintocco
è una carezza fonda, un vellutato
manto di pace, sceso dalla notte
ad avvolger la casa e la mia vita.
Ogni cosa, d’intorno, è grande e ombrosa
come tutti i ricordi dell’infanzia.
Dammi la mano: so quanto ha doluto,
sotto i miei bai, la tua mano. Dammela.
Questa sera non m’ardono le labbra.
Camminiamo così: la strada è lunga.
Leggo per un gran tratto nel futuro
come su un foglio che mi sta dinnanzi:
poi, la visione cade bruscamente
nel buio dell’ignoto, come questa
pagina bianca, che si rompe, netta,
sul panno scuro della scrivania.
Ma vieni: camminiamo: anche l’ignoto
non mi spaventa, se ti son vicina.
Tu mi fai buona e bianca come un bimbo
che dice le preghiere e s’addormenta.

Antonia Pozzi
Carnisio, 3 luglio 1929

* * *

Filosofia

Non trovo più il mio libro di filosofia.
Tiravo in carrettino
un marmocchio di otto mesi
– robetta molle, saliva, sorrisino -.
Quel che m’ingombrava le mani, l’ho buttato via.

Il fratellino di quel bimbetto,
a due anni, è caduto in una caldaia
d’acqua bollente:
in ventiquattro ore è morto, atrocemente.
Il parroco è sicuro che è diventato un angioletto.

La sua mamma non ha voluto andare al cimitero
a vedere dove gliel’hanno sotterrato.
Pei contadini, il lutto è un lusso smodato:
la sua mamma non si veste di nero.

Ma, quando quest’ultima creaturina,
con le manine, le pizzica il viso,
ella cerca il suo antico sorriso:
e trova soltanto un riso velato,
un povero riso in sordina.

Oggi, da una donna ho sentito
che quella mamma, in chiesa,
non ci vuole più andare.
Stasera non posso studiare,
perché il libro di filosofia l’ho smarrito.

Antonia Pozzi
Carnisio, 7 luglio 1929

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Lagrime

Bambina, ho visto che stasera hai pianto,
mentre la mamma tua sonava: pochi,
per questo pianto, i tuoi quindici anni.
So che forse noi siamo creature
nate tutte da un’ansia eterna: il mare;
e che la vita, quando fuga e strazia
l’essere nostro, spreme dal profondo
un po’ del sale da cui fummo tratte.
Ma non sono per te le salse lagrime.
Lascia ch’io sola pianga, se qualcuno
suona, in un canto, qualche nenia triste.
La musica: una cosa fonda e trepida
come una notte rorida di stelle,
come l’anima sua. Lascia ch’io pianga.
Perché io non potrò mai avere – intendi? –
né le stelle,
lui.

Antonia Pozzi
Varese – Milano, 11 luglio 1929

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Canto selvaggio

Ho gridato di gioia, nel tramonto.
Cercavo i ciclamini fra i rovai:
ero salita ai piedi di una roccia
gonfia e rugosa, rotta di cespugli.
Sul prato crivellato di macigni,
sul capo biondo delle margherite,
sui miei capelli, sul mio collo nudo,
dal cielo alto si sfaldava il vento.
Ho gridato di gioia, nel discendere.
Ho adorato la forza irta e selvaggia
che fa le mie ginocchia avide al balzo;
la forza ignota e vergine, che tende
me come un arco nella corsa certa.
Tutta la via sapeva di ciclami;
i prati illanguidivano nell’ombra,
frementi ancora in carezze d’oro.
Lontano, in un triangolo di verde,
il sole s’attardava. Avrei voluto
scattare, in uno slancio, a quella luce;
e sdraiarmi nel sole, e denudarmi,
perché il morente dio s’abbeverasse
del mio sangue. Poi restare, a notte,
stesa nel prato, con le vene vuote:
le stelle, a lapidare imbestialite
la mia carne disseccata, morta.

Antonia Pozzi
Pasturo, 17 luglio 1929

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Flora alpina

Ti vorrei dare questa stella alpina.
Guardala: è grande e morbida. Sul foglio,
pare un’esangue mano abbandonata.
Sbucata dalle crepe di una roccia,
o sui ghiaioni, o al ciglio di una gola,
là si sbiancava alla più pura luce.
Prendila: è monda e intatta. Questo dono
non può farti del male, perché il cuore
oggi ha il colore delle genzianelle.

 

Antonia Pozzi
Pasturo, 18 luglio 1929

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