Introduzione generale alla Psicologia (P. 1)

– Prefazione

L’opera che presento al pubblico degli studiosi contiene due corsi di lezioni tenute nella Regia Università di Napoli dal prof. Filippo Masci negli anni 1913-14 e 1914-15, sotto il titolo di “Introduzione generale alla psicologia”. Pubblicando questi due corsi integralmente, mantango una promessa e compio un dovere.
Verso la fine del mese di settembre 1922, vidi per l’ultima volta il mio venerando Maestro, nella casa ch’Egli abitava a Napoli, dalla quale non si era mosso quell’anno, per la consueta villeggiatura, nella sua ridente cittadina abruzzese, Francavilla al Mare, dov’era nato il 1844, perché già aggravato da quella irrimediabile paralisi che lo condusse alla morte il 7 dicembre dello stesso anno. L’ultimo colloquio fu una specie di testamento spirituale ed un’ultima professione di fede filosofica. Il Maestro mi mostrò i suoi corsi inediti, quelli ai quali più teneva, dopo i tre raccolti nel volume Pensiero e Conoscenza allora pubblicato dall’editore Bocca di Torino. Soprattutto richiamò la mia attenzione sui corsi di Psicologia e Psicogenia, ch’egli considerava come un complemento indispensabile dell’edificio ideale delineato in Pensiero e Conoscenza, e manifestò il desiderio che fossero pubblicati. Promisi il mio interessamento col più vivo augurio ch’Egli sopravvivesse alla pubblicazione dei suoi lavori inediti: ma “pria che l’erbe inaridisse il verno” quel Grande periva e neppure assisteva all’inizio della realizzazione delle sue speranze. Se oggi, dopo non poche difficoltà felicemente superate, sono in grado di mantenere la promessa, ho anche la soddisfazione di compiere un dovere verso la scienza e verso l’Italia.

Il pensiero filosofico di Filippo Masci, com’ebbi a dire altra volta1, è poco noto in Italia. Le sue moltissime memorie accademiche sono poco conosciute; anche l’opera fondamentale Pensiero e Conoscenza, ch’è un organico di Gnoseologia, è passata quasi inosservata, se si eccettua un modesto tentativo di discussione fatto dalla “Rivista di Filosofia Neoscolastica”. I più conoscono Filippo Masci come l’autore degli Elementi di Filosofia per i Licei; volumi pregevolissimi, ma anche questi poco noti. Ora che dall’insegnamento della Filosofia nei Licei sono state bandite le esposizioni elementari dei problemi filosofici come parti di un tutto dottrinale per sé stante, il silenzio sul pensiero filosofico del Masci si estende come si estende l’ignoranza sulle trattazioni sistematiche dei problemi filosofici.
Perciò credo che sia doveroso per un italiano e per uno studioso di filosofia il richiamare l’attenzione del pubblico che legge e studia sopra un’opera di forte originalità, di organica concezione, di lucida esposizione, di vasta e sicura dottrina, qual’è la Introduzione generale alla Psicologia di F. Masci. È un’opera che onora il pensiero italiano e la letteratura filosofica e scientifica mondiale. Non è un trattato di Psicologia elementare (il trattato l’aveva già scritto e pubblicato fin dal 1904 sotto il titolo “Elementi di Psicologia”): ma è una concisa e compiuta esposizione dei problemi e dei dibattiti fondamentali cui dà luogo lo studio della Psicologia, dalla determinazione dell’oggetto ai metodi agl’indirizzi agli elementi ed alle formazioni psichiche. È la trattazione del complesso problema psicologico guardato criticamente al lume e nei termini di una concezione filosofica della realtà. Non è un’esposizione ed una soluzione filosofica dei problemi psicologici, i quali rimangono specifici problemi ed assunti della scienza psicologica, che ormai ha conquistato la sua autonomia di fronte alla Metafisica, pur ricevendo da questa le sue ipotesi ultime; ma è una disanima critica dei presupposti filosofici e delle esigenze sperimentali della Psicologia, una discussione dei limiti degli uni e del valore delle altre, ed una determinazione orientativa di ciò ch’è acquisito, di ciò ch’è opinabile e di ciò ch’è arbitrario relativamente al campo specifico delle indagini psicologiche e delle esigenze conoscitive in esse implicite.
Se si pensa quanto sia scarsa la produzione filosofica italiana in generale e nei problemi critici della conoscenza effettiva in particolare, massimamente di quella psicologica, dove i contributi sono isolati e frammentari e dove più scarso è l’interesse del pubblico, si comprenderà come sia urgente “risvegliare i morti poiché dormono i vivi” e quanto possa essere benefico inserire nella cultura italiana un’opera di forte tempra scientifica, nutrita di severe indagini obiettive, in un momento in cui la tradizionale passione italica per l’esame delle “ragioni seminali” della cose (S. Tommaso d’Aquino), per l’indagine delle ragioni che “vengono in esperienza” (Leonardo Da Vinci), per il “provare e riprovare” (Galilei), sta per cedere il posto al più sterile vaniloquio congiunto col più improvvido ed ingiustificato disprezzo dei fatti, che costituiscono il tessuto di quella che Machiavelli chiamava la “conoscenza effettuale del reale”.

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L’Introduzione generale alla Psicologia, oltre l’interesse che offre per la perspicua esposizione storico-critica delle principali e più importanti questioni psicologiche e per la soluzione che ne presenta, a volte originale, ma sempre rigorosamente coerente ai principi ed all’insieme dei problemi studiati, ha un’importanza fondamentale per la veduta centrale della filosofia dell’autore ch’è la concezione monistica psicofisica della realtà. La tesi masciana è inconfondibile con tutte le altre vedute escogitate per spiegare la duplicità della serie fenomenica, fisica e psichica.
Il Masci è rigorosamente monista contro ogni forma di dualismo e di parallelismo psicofisico; ma è un monista antisostanzialista e antifenomenista. Per lui tutte le forme di sostanzialismo tanto materialistico quanto spiritualistico sono antiscientifiche, inutili e vuote di significato: la sostanza è inseparabile dalle sue proprietà o manifestazioni, di cui è il centro o l’unità dinamica. E se la necessità dell’idea di sostanza, per la sua natura di forma della conoscibilità del reale (categoria) si manifesta e si fa valere tanto per i fatti della natura esteriore quanto per i fatti psichici, non si può dire lo stesso per l’idea di sostanza semplice, la quale non serve affatto a gettar luce sulla natura e sulle leggi dei fatti psichici. Dunque né monismo materialistico né monismo spiritualistico, ma monismo psicofisico, che importa questo: il fatto psichico è la manifestazione interna, il fatto materiale è la manifestazione esterna di un’entità in sé una, psicofisica. Questo è il fatto dell’esperienza: il compito della teoria non può essere altro che quello di rendere concepibile il fatto. Ma la duplice manifestazione non deve intendersi come l’aspetto o il fenomeno di una realtà in sé ignota; le due serie, la psichica e la fisica, l’interna e l’esterna, sono reali e sono collegate tra loro non da una legge causale, ma da una legge di coesistenza. L’unione dell’anima e del corpo è un rapporto generale di coesistenza, il quale non può essere causale né nel senso che uno dei due termini sia causa dell’altro, né nel senso che le due realtà derivino da una realtà unica ulteriore: nel primo caso sarebbe in contraddizione con l’equazione qualitativa della causalità, nel secondo non saremmo capaci di concepire una sostanza al di là delle sue proprietà. “La realtà ci si presenta sotto queste due forme reali; non potremmo negare il fatto per questo che i nostri tentativi di riduzione falliscono” (pag. 217). E le due forme ci si presentano come una sola realtà, così come sono un mondo solo quello dello spazio e del tempo, della materia e dell’energia: ci si presentano come essere e coscienza di essere. Perché si dovrebbe negare la loro unità? Non c’è mai un momento, in tutta l’evoluzione della realtà, in cui il fenomeno fisico cessa per diventare fenomeno psichico; non c’è un momento in cui il fenomeno psichico cessa per diventare fenomeno fisico: i due fenomeni decorrono insieme e costituiscono lo sviluppo psicofisico della realtà che va da un massimo di materia e un minimo di spirito ad un massimo di realtà spirituale congiunta ad un minimo di esistenza materiale. Qualunque sia il valore che si dà al principio di causa e a quello della conservazione dell’energia, che n’è l’espressione fisica, la materia non può essere il fenomeno dello spirito, né questo si può dedurre dal movimento dei fatti fisici: un fatto fisico non si piega se non riportandolo ad uno o a più altri fatti fisici, e lo stesso dicasi del fatto psichico.
Senonchè se le due serie di fatti sono qualitativamente eterogenee, come si spiega la loro unità sfuggendo alla teoria del doppio aspetto?
Il Masci risponde con due osservazioni, una delle quali riguarda la natura della realtà, l’altra la natura della conoscenza. In primo luogo non c’è alcuna inintelligibilità nella coesistenza reale di due serie irriducibili di fatti: “come il calore e la luce, il numero di vibrazioni e l’altezza del suono, sono qualità irriducibili e correlativamente variabili di un fatto in sé unico, così sono il fatto cerebrale e il fatto psichico (pagg. 218-219). È vero che la nostra mente tende alla riduzione, ma quando questa è impossibile, per esempio la gravità e la coesione, la gravità e l’urto, si rinunzia alla riduzione senza perciò negare l’unità della realtà a cui le suddette proprietà si riferiscono. Similmente dovremo fare per i fatti fisici e psichici, rinunziare alla riduzione mentale ed ammettere l’unità e la compenetrazione reale quale ci è data dall’esperienza. Insomma l’unità psicofisica, pur essendo unità reale, diventa dualità e irriducibilità mentale, perché è oggetto di due apprensioni diverse, il senso interno e l’esterno. Ma la duplice apprensione – coscienza e senso – non è l’effetto di un’ottica mentale, bensì coincide con la duplice manifestazione della realtà, è la rivelazione della realtà a sé medesima: quindi la manifestazione non è fenomenica, ma si identifica con l’essere della realtà. La coscienza e il senso sono due forme di una medesima rivelazione, e come non è possibile concepirle separate, così non è possibile concepire la realtà che per l’unità delle due forme di manifestazione, le quali perciò sono conformi alla realtà. L’irriducibilità dei due ordini di apprensione della realtà è un effetto della condizione particolare dello spirito umano, che si è differenziato dalla natura esteriore, perché sia possibile la conoscenza, e con essa la creazione autonoma dell’ordine spirituale.
“Se la conoscenza potesse accompagnare lo sviluppo della realtà dall’interno, per esempio della materia che gravita, e seguire l’evoluzione del fatto interno omopsichico, così come possiamo seguire quella del fenomeno esterno, forse tutte le difficoltà, tutte le antitesi potrebbero essere rimosse” (pag. 168). Ma lo spirito umano può assistere direttamente all’evoluzione della realtà solo dall’autocoscienza in avanti; non può assistere alle origini, all’intimo lavorio che aggrega la materia nei mondi, che determina le combinazioni chimiche, che produce la vita, la psichicità e l’autocoscienza. Perciò della natura ha una conoscenza ab extra, circa rem, solo del mondo dello spirito una conoscenza in re. Ma dalla duplicità percettiva non si deve risalire né alla duplice sostanza né alla duplice causalità, e nemmeno si deve riporre l’essenza nell’uno o nell’altro dei contenuti percettivi o in un tertium quid che non si riesce a concepire. Dunque la separazione assoluta delle due serie causali è puramente mentale; in realtà le due serie causali sono una sola e costituiscono la causalità psicofisica.
Ecco il nocciolo della concezione psicofisica della realtà, quale fu professata dal Masci, come l’ipotesi più generale della Psicologia. E certamente il problema fondamentale di questa disciplina è costituito appunto dal rapporto di correlazione e d’indipendenza insieme tra i fatti psichici ed i fatti fisiologici.
Sul terreno della psicologia l’ipotesi del monismo psicofisico è, come tutte le ipotesi più generali delle scienze, una idea direttrice, valida se feconda come principio di coordinazione dei fatti nelle leggi. La sua giustificazione non può venire dalla Psicologia, ma dalla Gnoseologia e dalla sua coerenza e fecondità come principio d’intelligibilità dell’esperienza psichica.

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Gnoseologicamente si potrebbe osservare che se la conoscenza è rivelazione della realtà a sé medesima, le forme del conoscere sono le forme stesse della realtà e perciò le separazioni conoscitive sono la rivelazione di separazioni oggettive. In altri termini: se il reale è correlativo del pensiero, non ci sarà una unità reale dell’esperienza, che si rivela in due manifestazioni conoscitive irriducibili.
La realtà non ha una sua unità prima e oltre il pensiero, se questo è essenziale alla realtà. Inoltre si potrebbe indagare anche se le due forme di apprensione della realtà siano davvero irriducibili, come è sembrato al Masci, o piuttosto l’irriducibilità non sia il prodotto di un artificio astrattivo. E forse la chiave di volta per risolvere il delicatissimo problema è indicata dallo stesso Masci, quando sostiene contro Bergson il carattere qualitativo e quantitativo insieme dei fatti psichici. I fatti psichici non si riducono a movimenti spaziali, ma non sono privi di grandezza, se la grandezza spaziale non è la sola grandezza concepibile. Il tempo non è la negazione dello spazio, se è un momento della sua costruibilità. E lo spazio non è una proprietà oggettiva che una serie di fatti possiede indipendentemente dalla coscienza. È vero che la materia non è il fenomeno dello spirito, ma nemmeno può sostenersi che essa sia una proprietà della realtà irriducibile alle qualità dello spirito. Insomma se la materia la conosciamo per lo spirito non può essere eterogenea a questo. Gnoseologicamente parlando, se la materia è un contenuto di sensazioni non può essere eterogenea agli stati psichici, altrimenti la conoscenza sarebbe il punto di contatto fra due modi di essere irriducibili del reale, e quindi non sarebbe più sintetica. Perciò l’ipotesi del monismo psicofisico è suscettibile di essere ulteriormente elaborata proprio sulle direttive metodiche segnate rigorosamente dal Masci alla Psicologia per metterla in armonia con le esigenze più generali della Gnoseologia.

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In una scienza, come la Psicologia, dove i punti di vista sono così mobili e variabili, e dove i fatti sono così instabili e diversi, è difficile dire quale sia il punto dal quale un’indagine sia stata rinnovata seriamente e quali siano i risultati che rappresentino un acquisto stabile per la scienza. Ma è certamente poco l’asserire che il Masci ha detto il meglio che si potesse dire per ogni questione generale, quando egli ha spinto la ricerca fin dove il rigore del metodo scientifico e la coerenza con le premesse filosofiche potevano utilmente condurlo. Nemico delle generalizzazioni affrettate e delle indagini esplicative di fatti non ancora ben accertati, è stato troppo guardingo e misurato nell’accogliere le novità di certe branche nuovissime della Psicologia, come la metapsichica, la conoscenza sopranormale, ecc.. Il suo capitolo sull’Inconscio presenta qualche eccessiva cautela che oggi potrebbe costituire una lacuna. Ma ciò non dipese da difetto di prospettiva o da disprezzo delle esperienze nuove, bensì dall’abito di prudenza e di serietà scientifica che lo rese restìo ad accogliere suggestioni ed ipotesi che non gli sembravano verificabili dall’esperienza. Certamente se egli fosse stato ancora vivo e avesse licenziato alle stampe questo lavoro oggi, lo avrebbe ritoccato ed aggiornato in più d’un capitolo. Ma io ho creduto opportuno di non alterare menomamente la fisionomia genuina dell’opera, nemmeno con note illustrative, salvo pochissime volte, per indicare altre fonti del pensiero del Masci o per ricordare al lettore che il libro fu scritto da oltre dieci anni.

Pavia, R. Università, 6 marzo 1926.

Mariano Maresca.

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1“La vita e le opere di F. Masci. Discorso commemorativo tenuto in Chieti dal prof. M. Maresca, 1925.

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FONTE: “Introduzione alla Psicologia” di Filippo Masci.
Opera postuma.
A cura e con prefazione di Mariano Maresca.

Società editrice Dante Alighieri
di Albrighi, Segati e C., 1926.